Note sul Procedimento Penale sui Desaparecidos Italiani in Argentina
1. BREVE PREMESSA STORICA
L'ultima dittatura militare argentina inizia il 24 marzo 1976 e si conclude il 10 dicembre 1983.
Nessun dissenso era ammesso. In passato, anche in regimi controllati dai militari, alcuni gruppi
intellettuali ed altre realtà associative informali potevano riunirsi comunque e realizzare le loro
attività. Infatti, dal 1955 al 1973 l'associazionismo e le manifestazioni della società civile erano
consentite o almeno sopportate.
A partire del 1976 ogni attività critica diventava sovversiva, terroristica.
Dall'Argentina espatriarono in quegli anni il 10% dei suoi abitanti. I morti in scontri (o presunti
tali) con le forze di "sicurezza" sono stati più di 10.000, mentre altrettanti detenuti furono
rinchiusi nelle carceri civili e militari senza imputazioni precise e con procedimenti segreti che
non prevedevano la figura del difensore. Infatti, i "prigionieri politici" non vennero mai processati
o condannati: semplicemente erano persone messe a disposizione del PEN (Potere Esecutivo
Nazionale) anche per 8 anni. Ma la scomparsa di persone divenne la metodologia repressiva
più frequente.
Infatti, come ricorderà Jorge Luis Borges, l'Argentina impose al mondo un triste neologismo:
"desaparecidos".
Nel 1982 si scoprirono, in aree annesse a diversi cimiteri, le fosse comuni ricolme di cadaveri
non identificati. Questo diede luogo a grosse manifestazioni di sdegno popolare, capeggiate dai
famigliari degli oppositori del regime che erano stati sequestrati a partire del 1976. La
propaganda del regime sosteneva che gli "scomparsi" erano in realtà fuggiti all'estero, mentre
la speranza dei famigliari li portava a pensare che questi fossero prigionieri in caserme lontane
o in istituti penali della Patagonia. L'evidenza delle uccisioni di massa ebbe un grosso rilievo
anche nei settori meno ostili al regime, e nel mondo intero.
I militari, capeggiati dal gen. Galtieri, pensarono di ribaltare il momento sfavorevole ricorrendo
all'occupazione manu militari delle isole Malvine, a lungo oggetto di contesa col Regno Unito.
Alla disfatta militare che ne seguì, le forze armate non poterono rispondere se non con
l'abbandono del potere politico.
Presidente era Antonio Benito Bignone, un militare in pensione che doveva passare il potere ai
civili con il minor danno possibile per le istituzioni militari.
2. PRECEDENTI GIUDIZIARI IN ARGENTINA: SENTENZE, LEGGI "PUNTO FINAL" E
"OBEDIENCIA DEBIDA".
Per quanto riguarda eventuali azioni penali contro i militari responsabili, vennero subito emanati
due importanti testi legislativi: il "Documento Final" e la "Ley de autoamnistia".
Si legge, tra l'altro, nel "Documento final":
"Di conseguenza, deve essere chiaro una volta per tutte che quanti figurano negli elenchi di
desaparecidos, e non si trovano, invece, in esilio o nella clandestinità, devono essere
considerati morti agli effetti giuridici e amministrativi, anche nel caso non si possa finora
precisare la causa e le circostanze dell'eventuale decesso, nè il luogo della loro sepoltura".
Il 13/12/1983, con il decreto n. 158, il governo procedette all'apertura di un processo contro le
prime tre Giunte Militari.
Prima della fine del mese, il 27/12/1983, Il Parlamento annullò, con la legge 23040 (Ley 23.040,
Derogación de 1a "Autoamnistia", Derogación por incostitucional de la ley de amnistia
22.924)
la cosiddetta "Legge di Autoamnistia", ovvero il decreto con il quale i militari avevano prosciolto
sè stessi dalle responsabilità penali derivanti dalle azioni repressive eseguite durante il regime.
La legge di Riforma del Codice di Giustizia Militare, n. 23.049 del 13/02/1984, (Ley 23.049,
Modificaciones al Código de justicia Militar, sancionada el 9/02/1984; promulgada el
13/02/1984; publicada en el Boletin oficial el 15/02/1984) sancì che i processi contro i militari
che avevano eseguito i piani operativi stabiliti dalle Giunte con l'obiettivo di combattere il
terrorismo, dovessero essere istruiti dal Tribunale Supremo delle Forze Armate. In sede
d'appello la giurisdizione stabilita era quella dei Giudici ordinari, ovvero dalle "Cámaras
Federales de Apelaciones" ed in ultima istanza poteva farsi ricorso alla Corte Suprema di
Giustizia, per confermare o meno le sentenze dei giudici federali.
Per quanto riguarda il decreto 158, la discrezionalità di questo provvedimento era assoluta, e
come succede con le misure arbitrarie, molte delle conseguenze non vennero mai chiarite.
Si pensi che i capi militari di altre Giunte posteriori non vennero mai processati, semplicemente
perchè non compresi nel decreto.
Nel 1986 i due anni a disposizione dei Tribunali militari scadettero e i Tribunali federali
incominciarono ad avocare a sè i procedimenti.
Anche qui intervenne l'esecutivo, proponendo e facendo approvare dalle Camere la Legge
23.492, conosciuta come legge del "Punto Final".
Questa stabilì che si sarebbe estinta l'azione penale se, in un termine di 60 giorni, i militari (a
cui si riferiva l'articolo 10 della legge di Riforma del Codice di Giustizia Militare) non fossero
stati incriminati.
La legge venne approvata prima delle festività natalizie e il termine di 60 giorni includeva tanto
queste feste come le ferie dei mesi dell'estate australe.
I magistrati argentini non assecondarono, però, le aspettative del Governo incriminando 450
militari su di un totale di 650 sospettati. La Magistratura cercava di salvaguardare in questo
modo l'indipendenza giurisdizionale compromessa.
I processi avviati all'inizio del 1987 provocarono, nei mesi successivi, una pioggia di mandati di
comparizione. L'effetto della legge di Punto Final era stato quello di concentrare in 60 giorni
dieci anni di vicende giudiziarie.
I mandati di comparizione, arrivati uno dopo l'altro in pochi giorni, fecero si che molti ufficiali si
sentissero traditi dai loro superiori. Infatti, molti ufficiali che avevano impartito ordini criminosi si
trovavano ora allo Stato Maggiore mentre i giovani ufficiali che dieci anni prima avevano
eseguito quegli ordini dovevano risponderne di persona davanti alla magistratura ordinaria.
Gli ufficiali nazionalisti riuscirono a far dimettere il Capo di Stato Maggiore, ricatto premiato con
la promulgazione della legge n. 23521, nota come la "Ley de Obediencia Debida".
L'art. 1 stabiliva che "si presume, senza ammissione di prova contraria, che tutti gli alti ufficiali,
gli ufficiali subalterni, i sottufficiali e i membri di truppa delle forze armate, delle forze di
sicurezza, di polizia e penitenziarie non sono punibili per crimini commessi nel periodo della
dittatura, perchè in tali casi si considera di pieno diritto che le persone menzionate agirono in
stato di coercizione perchè subordinate all'autorità superiore e in esecuzione di ordini, senza la
facoltà o la possibilità di esame, opposizione o resistenza". Quasi a voler rendere chiarissima e
sottrarre ad ogni dubbio l'impunità dei militari così beneficiati, l'art. 6 precisa che ad essi non si
applica l'art. 11 della legge 23.049, del 1984 (norma che dopo aver posto una presunzione a
favore dei subordinati, escludeva da tale presunzione i crimini atroci o abominevoli). La strada
verso l'impunità dei militari è percorsa fino in fondo e senza esitazioni.
L'art. 1, comma 2, della Ley de obediencia Debida, stabiliva tuttavia che la presunzione di aver
eseguito ordini non si applicava ai militari che "tuvieron capacidad decisoria o participaron en la
elaboración de las órdenes". Infatti i capi delle regioni militari (generali di divisione) e altri
ufficiali che avevano comandato provincie o polizie locali (generali di brigata) rimasero sotto
processo per tutti i fatti riguardanti sequestri, omicidi e altri crimini commessi nei territori sotto il
loro comando.
Le regioni militari (zone di sicurezza, nel linguaggio repressivo) erano state in tutto cinque, i
procedimenti aperti in decine di Tribunali vennero così centralizzati nei principali tribunali
federali. Il numero delle cause aperte nulla aveva a che vedere con il numero di vittime, poiché
ogni generale era acccusato di decine o centinaia di reati.
La ConaDep era riuscita a segnalare 1.400 militari coinvolti. La legge di Punto Final determinò
che si chiudessero i procediemnti contro 1.000 di loro.
La legge di obediencia Debida de-processò gli ufficiali medi e subalterni, rimanendo quindi al
1989 aperti procedimenti contro una quarantina di ufficiali superiori.
Il 7/10/89 il Presidente Menem con il decreto 1002 concesse l'Indulto a tutti i militari ancora
sotto processo (a eccezione di Suárez Mason perchè era stato estradato dagli U.S.A.). Altri
decreti emessi in tale data applicarono analoghi benefici a persone accusate di terrorismo
(alcune per la verità già defunte) e a militari uruguayani che avevano operato a Buenos Aires
(Decreto 1003/89), a militari che erano intervenuti nelle sommosse contro il Presidente Alfonsín
negli anni 1987 e 1988 (Decreto 1004/89), e ai membri della Junta Militar (Leopoldo Galtieri,
Jorge Anaya, Basilio Lami Dozo) che aveva portato al disastro della guerra delle Malvinas e che
per questo erano stati condannati dalla Corte d'Appello di Buenos Aires (Decreto 1005/89).
Nel 1990 per la vicenda dei desaparecidos rimanevano in carcere cinque componenti delle
giunte militari condannati nel 1985 (Jorge Videla, Emilio Massera, Orlando Agosti, Roberto
Viola e Armando Lambruschini) e si doveva arrivare al dibattimento del processo contro Suárez
Mason.
Il 30/12/1990 il Presidente Menem con una nuova serie di indultos pose fine a tutte le
detenzioni (definitive o preventive) disposte dalla magistratura.
La motivazione di portare alla "riconciliazione" significò riunire situazioni processuali molto
diverse. Il Decreto 2741/90 concesse la grazia a quanti erano stati condannati nei procedimenti
avviati dai decreti 158/83 (giunte militari) e 280/84 (causa Camps) del presidente Alfonsín.
Il decreto 2742 venne emesso a beneficio di Mario Eduardo Firmenich, capo di Montoneros; e il
decreto 2743 favorì vari funzionari del governo di Isabel Perón (Norma Kennedy, Duilio
Brunello) e della dittatura (l'ex ministro di Economia José Alfredo Martínez de Hoz) accusati di
corruzione e l'ultimo militare ancora sotto processo, Carlos Guillermo Suárez Mason.
La questione dei desaparecidos usciva così dall'ambito giudiziario argentino.
L'impunità divenne assoluta.
Negli ultimi mesi si è assistito in Argentina a tre fenomeni non ancora conclusi.
Da parte delle Forze Armate vi sono stati documenti che riconoscono le colpe avute nella
repressione. Sono i primi documenti usciti da fonte militare dopo il Documento Final del 1983 e
hanno un'impostazione antitetica allo stesso. Inoltre, i capi di Stato Maggiore hanno invitato gli
ufficiali che hanno partecipato alla repressione a recarsi nei loro uffici per fornire elementi utili
alla ricostruzione dell'accaduto. Ancora, alcuni ufficiali si sono dichiarati pentiti e avevano
confessato i particolari delle azioni criminose a cui hanno partecipato alla stampa.
Per contro, i familiari delle vittime hanno chiesto che si formi una Comisión por la Verdad con
partecipazione del Parlamento, del Governo e delle organizzazioni non governative. Inoltre,
alcuni parlamentari dell'opposizione hanno presentato di recente un disegno di legge che
annulli la legislazione criticata dalla CIDH. L'abrogazione di queste leggi avrebbe gli stessi
effetti che in passato ha avuto l'abrogazione della Ley de Autoamnistía approvata appena dopo
l'insediamento del primo Parlamento democratico.
Infine, la Cámara Federal de Buenos Aires, in seguito alle dichiarazioni del militare pentito
Horacio Scilingo e all'interessamento dell'Ambasciata di Francia, ha riaperto il procediemtno
penale riguardante l'omicidio delle suore francesi René Duquet e Alice Domon (quanto meno
per il ritrovamento delle salme delle religiose uccise) ed a tale scopo sono stati citati alcuni
militari coinvolti nella vicenda.
E' difficile giudicare ora se tali episodi rappresentino in quel paese una incrinatura alla barriera
di impunità eretta con le disposizioni legislative ricordate.
Dubitare, conosciuti i precedenti, è legittimo.
3. FONDAMENTO dELLA PERSEGUIBILITA' DI QUEI REATI IN ITALIA: ARTT. 8 - 11 C.P.
Nel determinare la sfera di efficacia nello spazio della legge penale, l'ordinamento italiano ha
adottato il principio che si suole definire di "territoralità temperata".
Vale a dire: ha adottato, come la maggior parte degli Stati moderni, il principio di territorialità,
(art. 3 C.P.: la sfera di efficacia della legge penale è delimitata dal territorio dello Stato,
obbligando tutti coloro che vi si trovino, cittadini e stranieri; art. 6 C.P.: i reati commessi nel
territorio dello stato sono puniti secondo la legge italiana). Ma lo ha mitigato introducendo criteri
di tutela penale dell'autorità statale e del cittadino italiano all'estero.
Per cui, prevista dall'art. 7 C.P. la perseguibilità in Italia e secondo la legge italiana di particolari
reati commessi all'estero, da cittadini o da stranieri, in quanto lesivi della sovranità statale,
amministrativa e monetaria, ha pure previsto, in forza dell'art. 8 C.P., la perseguibilità in Italia di
delitti politici commessi all'estero, anche da stranieri, a danno di cittadini italiani.
Recita l'ultimo comma dell'art. 8 C.P.: "Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni
delitto che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino (48-54
Cost.). E' altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da
motivi politici".
La perseguibilità è disposta a richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia.
Recita, poi, l'art. 11 C.P.: il cittadino straniero il quale - nei casi indicati nell'art. 8 C.P. - sia stato
già giudicato all'estero, potrà essere giudicato nuovamente nello Stato italiano qualora il
Ministro di Grazia e Giustizia ne faccia richiesta.
I gravissimi fatti di cui si tratta si configurano, per lo più, come reati di omicidio aggravato e/o
di sequestro di persona aggravato (lasciando, eufemisticamente, solo tale ultima
configurazione delittuosa per la grande maggioranza dei casi, le sparizioni senza ritorno, pur
dovendo essere ben certo che si è trattato, sempre, di efferati omicidi, per i quali il mancato
ritrovamento dei cadaveri ha reso più atroce il dolore dei parenti sopravvissuti ma di più ardua
configurazione il palese reato di omicidio).
La presenza fra le vittime di numerosi cittadini italiani, residenti in Argentina, rende applicabili le
norme penali sopra citate, consentendo di perseguire in Italia quei fatti e di procedere contro i
responsabili argentini: con la significativa distinzione, sopra storicamente richiamata, tra i pochi
casi già giudicati in Argentina (per i quali la perseguibilità in Italia sarebbe subordinata alla
richiesta del Ministro, secondo l'art. 11 C.P.) e la stragrande maggioranza di casi e persone,
andati esenti da processo, grazie alle leggi sopra rievocate che, in Argentina, ne avevano
garantito l'impunità, ma che in Italia possono - anzi, debbono - essere giudicati, essendo
inconcepibile che qui trovino riconoscimento e applicazione quelle leggi vergognosamente
incostituzionali.
In Italia ed in altri paesi civili, come si è fatto in Francia, come si stà facendo in Spagna.
Ben inteso: non che in Italia sia tutto oro quello che luccica!
Vedremo che, in Italia, il processo ha mosso passi stentati e prende solo ora un avvio che pare
deciso; ma la mancata richiesta del ministro, prevista dal citato art. 11, ha per il momento
impedito che si giudicassero nuovamente in Italia i capi della giunta militare e principali
responsabili di quel tragico momento storico, capi che, se anche subirono una condanna in
Argentina, furono poi gratificati dal trattamento bonario tristemente noto.
Ma vedremo che anche i giudizi per gli altri responsabili, non giudicati in Argentina, ha trovato e
trova in Italia ostacoli e posizioni discutibili, che paiono allinearsi, consapevolmente o no, ai
criteri di impunità già espressi in quel paese.
4. Svolgimento del procedimento pendente in italia presso il Tribunale di Roma.
A. Istruttoria anteriore al 1989.
Tra le varie azioni svolte dai parenti degli scomparsi durante la repressione e subito dopo la fine
della dittatura, (azioni quasi sempre arenatesi davanti al silenzio delle autorità argentine) ci fu
anche una serie di segnalazioni alle autorità consolari, tutte raccolte dal Consolato generale
d'Italia in Buenos Aires. Dopo le denuncie al Tibunale di quella città, l'inchiesta approdò al
Tribunale di Roma, in forza del sopra citato art. 8 C.P. italiano.
Non ostante si fossero verificati tentativi di insabbiamento, il procedimento si radicò presso
l'ufficio istruzione del Tribunale di Roma (era allora in vigore il vecchio codice di procedura
penale, che prevedeva l'istruzione formale svolta dal giudice istruttore) con l'intervento del
pubblico ministero, già allora designato nella persona del dr. Antonio Marini (che avrebbe poi
seguito il procedimento fino ad oggi).
Cominciarono a raccogliersi le prime deposizioni testimoniali e prove documentali.
Si cominciò a individuare qualche responsabile per i casi sottoposti a giudizio, primi fra tutti i
capi delle giunte che, nel frattempo, erano stati sottoposti a giudizio in Argentina.
La mancata richiesta del rinnovo del giudizio verso questi ultimi, a sensi dell'art. 11 C.P., da
parte dell'allora Ministro di grazia e giustizia Vassalli, avrebbe precluso il rinnovo stesso.
D'altro canto, il tentativo da parte del giudice istruttore di notificare formalmente atti processuali
a presunti responsabili argentini incontrò marcata opposizione da parte delle autorità giudiziarie
di quel paese; con ciò l'istruttoria subì una battuta di arresto.
L'ostruzionismo politico fece il resto: l'istruttoria restò ferma.
B. Indagini preliminari successive al 1989.
Con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e l'intervento di due legali a tutela
delle parti offese - l'avv. Gentili e chi vi parla - il procedimento riprese quota.
Abolito, dal nuovo processo, l'ufficio istruzione, il procedimento venne ripreso con le indagini
preliminari a cura del pubblico ministero (lo stesso dr. Antonio Marini, della Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Roma).
Avvalendosi dei poteri di indagine conferitigli dal nuovo rito, il P.M. raccolse nuove deposizioni
testimoniali, perizie ed ampia documentazione probatoria; il tutto a impulso e cure dei legali
delle parti offese.
Tutti gli elementi raccolti con le diverse deposizioni, ed altre migliaia di pagine riguardanti
processi argentini interrotti dalle leggi d'impunità, furono poi allegati alla memoria redatta dagli
avvocati di parte civile e presentati al PM Antonio Marini in data 18/12/1991.
Il Guidice per le Indagini Preliminari con provvedimento del 7/1/1992 richiese l'archiviazione del
processo, e in data 10/2/1992 ordinò la riapertura delle indagini perchè queste "non poterono
essere eseguite subito dopo la presentazione della denuncia per il decorso del termine,
improrogabilmente scaduto il 31 dicembre 1991". In pratica, la memoria presentata dagli
avvocati di parte civile "in quanto trattasi di investigazioni relative a fatti nuovi" era stata
considerata come una notizia di reato.
Deve segnalarsi, in quel periodo, un mutato atteggiamento delle forze politiche e dell'esecutivo.
In special modo, la presenza alla direzione degli affari penali presso il ministero di grazia e
giustizia del dr. Giovanni Falcone, magistrato attento ed appassionato, la cui morte prematura
per mano mafiosa gli impedì di dedicarsi alla vicenda con l'attenzione rigorosa che aveva
personalmente preannunciato.
Chi vi parla, avendo conferito col dr. Falcone, ha l'onore di testimoniarne, anche in tale
frangente, l'alto impegno civile, oltre che la encomiabile preparazione professionale.
C. Richiesta di rogatoria per audizione di testi in Argentina.
Una seconda memoria presentata a fine del 1992 dai legali di parte offesa aveva meglio
delineato i fatti per una serie di casi, individuando i vari centri clandestini ove erano stati
commessi, ed i responsabili.
Si presentò l'opportunità di sentire parecchi testi (parenti, sopravvissuti, soggetti al corrente di
fatti e persone) quasi tutti residenti in Argentina.
Gli usuali tempi lunghi e la preoccupazione di perdere la buona occasione, suggerì ai legali
delle parti private di proporre la loro audizione col mezzo dell' incidente probatorio, istituto
introdotto dal nuovo codice di procedura penale (artt. 392 C.P.P. e segg.), che avrebbe
consentito di escutere i testi con tutte le garanzie del contraddittorio a rendere le deposizioni
idonee ad essere acquisite, senza la loro ripetizione, al futuro dibattimento.
Il suggerimento, recepito dal P.M., venne accolto dal G.I.P. che ne dispose l'esperimento per
rogatoria da svolgere in Argentina.
Pur con una non del tutto limpida operatività delle autorità ministeriali e diplomatiche, l'istanza
venne - straordinariamente, all'apparenza - accolta dalle autorità giudiziarie argentine.
Un giudice di Buenos Aires fissò una serie di udienze per l'escussione dei testi; il G.I.P. ed il
P.M. italiani si recarono in quel paese nel febbraio del 1994 ad espletamento della rogatoria.
Inaspettatamente, il giorno stesso fissato per la prima udienza, l'ostruzionismo che pareva vinto
riprese corpo: su ricorso di un "fiscal" la rogatoria venne bloccata. La Camara Federal di
Buenos Aires, revocando il precedente provvedimento del giudice, dichiarò la propria esclusiva
competenza a giudicare sulla richiesta di rogatoria, esautorando in proposito il giudice stesso.
Pochi giorni dopo, la stessa Camara Federal, giudicando sulla base della auto-affermata
competenza, rigettò la domanda di rogatoria: con ciò impedendo che la prevista escussione di
testi avesse luogo e impedendo ai giudici italiani di svolgere il loro legittimo operato.
I legali di parte offesa corsero ai ripari: presenti in Argentina si attivarono per raccogliere le
deposizioni, se pur in forma diversa. Le deposizioni testimoniali vennero stese per iscritto e
sottoscritte davanti a notaio o autorità consolare che ne certificarono l'autenticità; raccolte ed
opportunamente illustrate vennero allegate ad una ulteriore memoria dei legali di parte offesa
(in data 28/2/1994) che, corredata da opportune integrazioni analitiche di poco successive,
rappresentò l'atto conclusivo della parte privata, portante una precisa individuazione, per
svariati casi, di fatti, circostanze e responsabili (questi ultimi, al fine, identificati anche con dati
anagrafici).
Con tale materiale il P.M. avrebbe potuto chiudere le indagini, formulare le imputazioni e
indirizzare al G.I.P., secondo quanto la legge prescrive, le richieste di rinvio a giudizio degli
imputati.
D. Richiesta di archiviazione da parte del P.M. e opposizione alla stessa.
Contrariamente a quanto ci si aspettava, l'inattività del P.M. - prolungatasi per quasi due anni,
non ostante i nostri solleciti, anche duri - si interruppe nel dicembre 1995 con una
assolutamente inattesa richiesta di archiviazione del procedimnto.
Le inaccettabili argomentazioni che il P.M. utilizzò per appoggiare la sua richiesta possono così
riassumersi:
- la Camara Federal di Buenos Aires, nel provvedimento col quale aveva rigettato la richiesta di
rogatoria, aveva motivato dichiarando che tutti i casi sottoposti al nostro procedimento erano
stati, in Argentina, già giudicati;
- la presenza di un precedente giudicato rendeva necessario, in Italia, la richiesta di rinnovo del
giudizio, a sensi del già ricordato art. 11 C.P.: se, in precedenza, il ministro non aveva chiesto il
rinnovo, per gli altri casi, tale richiesta doveva considerarsi esclusa anche ora;
- le autorità argentine, in ogni caso, avevano già dimostrato di non fornire alcuna
collaborazione, il che avrebbe reso arduo il prosieguo del procedimento.
Venne immediatamente da noi svolta opposizione contro la richiesta di archiviazione, a sensi
dell'art. 410 C.P.P., con la quale, in sintesi, si argomentò, avverso le tesi del P.M.:
- che la dizione della Camara Federal era assolutamente generica, non citando i singoli giudizi
che, a suo dire, si sarebbero svolti in Argentina;
- che l'affermazione era, comunque, falsa: quasi tutti quei casi erano stati bloccati all'inizio con
le leggi di impunità, "punto final" e "obediencia debida", sopra richiamate, che avevano, al
contrario di quanto affermato, inibito che qualsiasi giudizio si celebrasse;
- che anticipare la volontà del Ministro - che, tra l'altro, non era stato messo ancora in
condizione di pronunciarsi - era assolutamente inaccettabile, oltre che invasivo di altro potere
costituzionale.
(Per chi volesse esaminare un approfondimento dei temi giuridici, alcuni dei quali saranno
ancora oggetto di discussione nel processo, sono disponibili copie dell'opposizione e di una
memoria depositata a supporto).
Il G.I.P. (giudice per le indagini preliminari, al quale compete di decidere anche sulle richieste di
archiviazione del P.M. e sulle opposizioni alle stesse) fissò un'udienza nel maggio 1996, nel
corso della quale, dopo avere sentito le parti, dispose che il P.M. informasse formalmente il
Ministro perchè questi potesse decidere se chiedere o no il rinnovo dei giudizi, qualora
rilevasse che giudizi in Argentina c'erano stati.
Il Ministro, nell'agosto successivo, dichiarò che non gli erano stati forniti gli estremi dei rispettivi
giudizi (che, come si è detto, non esistevano) per cui invitava i giudici a valutare l'opportunità di
procedere.
Su questa base il G.I.P. si riservò di decidere in ordine all'archiviazione o al proseguimento del
procedimento.
E. Chiusura delle indagini preliminari ed udienza preliminare.
Valutati gli atti e la copiosa documentazione, il G.I.P. ritenne particolarmente ricchi di elementi
probatori alcuni dei casi presenti nel fascicolo, casi di omicidio accertato.
Disposta la archiviazione degli altri, invitò il P.M. a formulare per quei casi le imputazioni e le
richieste di rinvio a giudizio.
Ne derivò la richiesta di rinvio a giudizio per sette imputati, presunti responsabili,
rispettivamente:
1) - Guillermo Carlos Suarez Mason, Comandante del I Corpo dell'Esercito e responsabile della
zona 1 di Buenos Aires, per l'uccisione di
a) Laura Estela Carlotto
b) Norberto Morresi
c) Pedro Luis Mazzocchi
d) Luis Alberto Fabbri
e) Daniel Jesus Ciuffo
e la sottrazione del neonato
f) Guido Carlotto, nato da Laura Estela Carlotto prima che la stessa venisse uccisa.
2) - Santiago Omar Riveros, comandante della zona 4 Tigre - Campo de Mayo
3) - Juan Carlos Girardi, capo della prefettura navale a Tigre
4) - Roberto Julio Rossin
5) - Alejandro Puertas
6) - José Luis Porchetto
7) - Hector Maldonado, tutti in servizio presso la prefettura di Tigre, per l'uccisione di
g) Mario Marras
h) Martino Mastinu.
Sulla base di tale richiesta, il G.I.P. ha fissato l'udienza preliminare, nel corso della quale,
sentite le parti ed asaminati gli atti, lo stesso dovrà decidere se rinviare a giudizio (cioè a
pubblico dibattimento davanti alla Corte di Assise di Roma) gli imputati.
Il procedimento si trova, ora in questa fase.
Si sono svolte due udienze, una l'11/7/1997 e l'altra il 23/9, nel corso delle quali ci siamo
formalmente costituiti parti civili per un certo numero di parenti delle vittime ed è stata disposta
una perizia per la traduzione in italiano di atti e documenti allegati, redatti in lingua spagnola.
Espletata la perizia, che richiederà due o tre mesi, l'udienza preliminare entrerà nel vivo della
discussione.
Compito mio e del collega, difensori di parte civile, sarà naturalmente quello di batterci perchè il
G.I.P. decida, come è logico aspettarci, per il rinvio a giudizio degli imputati.
Non è mia abitudine anticipare pronostici. Posso però affermare che credo ancora nella
giustizia, pur rendendomi conto dell'ostilità che, da più parti, vige per questi temi.
Credo - e spero - che almeno nel mio paese possa ottenersi, anche per pochi casi ma, non per
questo, meno significativi, quella giustizia che da troppo tempo gli argentini, in particolar modo i
congiunti delle vittime, si aspettano.
Perchè sia affermato, almeno una volta - ma in attesa di altre - che fatti atroci come quelli di cui
ci occupiamo non possano, non debbano più accadere in un paese civile.